
CESSAZIONE DELL’OBBLIGO DI MANTENIMENTO NEI CONFRONTI DEL FIGLIO MAGGIORENNE:
il principio di auto-responsabilità
Con una recente Ordinanza n. 17183/2020, la Suprema Corte muta indirizzo su due aspetti centrali dell’obbligo di mantenimento del genitore nei confronti del figlio maggiorenne: il momento in cui cessa e l’onere della prova.
L’orientamento precedente si fondava sull’idea che l’obbligo di mantenimento non decadesse ex lege al compimento della maggiore età, ma piuttosto proseguisse fino a che il figlio non avesse raggiunto una propria indipendenza economica. La Suprema Corte giungeva a simile risultato, in primo luogo, constatando la mancanza di una espressa disposizione legislativa che indicasse il termine di cessazione dell’obbligo di mantenimento, ed in secondo luogo, dando un’interpretazione costituzionalmente orientata degli art. 147 c.c. e dell’art. 335 septies c.c., che disciplinano rispettivamente i doveri dei genitori verso i figli e il mantenimento del figlio maggiorenne.
Inoltre, l’onere di dimostrare i fatti estintivi di tale obbligo gravava sui genitori; compito, quest’ultimo, assai gravoso perché spesso l’onerato è il genitore “non collocatario”, che difficilmente può provare il mancato raggiungimento dell’autosufficienza economica del figlio per sua colpevole inerzia.
Con l’Ordinanza sopra richiamata la Cassazione ha, viceversa, statuito che l’obbligo di mantenimento cade ex lege al raggiungimento della maggiore età e, conseguentemente, il diritto al mantenimento “viene ripristinato” solo grazie ad una pronuncia in tal senso del giudice che, valutate tutte le circostanze del caso concreto, potrebbe ammetterlo. In più l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto, in virtù del principio di prossimità, ricade sul figlio.
La Suprema Corte giustifica la sua nuova posizione facendo spazio alla funzione educativa dell’obbligo di mantenimento e, soprattutto, al principio di auto-responsabilità. Principio, quest’ultimo - strettamente collegato ad altri di matrice costituzionale come la buona fede oggettiva e la ragionevolezza - che andrebbe a limitare il diritto soggettivo in oggetto, evitando ogni tipo di abuso che si risolva in una mera pretesa assistenzialistica del figlio nei confronti del genitore.
L’auto-responsabilità trova ultimamente sempre più spazio all’interno del diritto. E così, basti pensare alla potestà genitoriale (oggi, responsabilità genitoriale a partire dalla L. 10 dicembre 2012, n. 219, e dal D. Lgs. 28 Dicembre 2013, n. 154), nonché al dovere imposto al figlio convivente di contribuire al mantenimento della famiglia in base all’art. 315 bis co. 4 c.c. ed infine al versamento dell’assegnamento di mantenimento direttamente al figlio maggiorenne ex art. 337 septies co. 1 secondo periodo c.c.
Principi tutti che sottendono al risultato cui è giunta la Cassazione con la pronuncia che ci occupa: l’obbligo di mantenimento cessa contestualmente al venire meno la responsabilità genitoriale come conseguenza diretta del raggiungimento della maggiore età.
Se pure il legislatore vuole tutelare il figlio - soprattutto quando questo è minore - allo stesso tempo è opportuno che lo stesso, raggiunta la maggiore età e la capacità di agire ex art. 2 c.c., divenendo soggetto capace giuridicamente a tutti gli effetti, sia responsabile delle proprie scelte di vita e diventi autonomo economicamente. Si ottiene così un giusto bilanciamento nel rapporto tra genitori e figli: il dovere del figlio nei confronti della famiglia, da un lato; e il dovere dei genitori verso di lui, dall’altro.
Tale scelta sembra giustificata anche dalla volontà di mantenere il passo con l’evoluzione della società che negli ultimi anni ha visto figli sempre più adulti gravitare troppo a lungo nell’alveo dell’economia domestica.